martedì 25 giugno 2013

Ora possiamo parlare di Yin e Yang.

Fatta questa doverosa introduzione, proverò adesso a parlare un po' più nel dettaglio dello Yin e dello Yang, di cosa rappresentino e soprattutto quale indicazioni e, si spera, benefici possano offrire alla vita quotidiana di ognuno di noi.

Ribadisco, anche se spero di non sentire il bisogno di farlo per ogni post che intendo scrivere, che ciò che condividerò con voi vuole avere lo scopo di rendere il più fruibili possibile concetti che non appartengono alla nostra cultura, dal punto di vista della comprensione intellettuale, ma anche, e in questo ci è una maggior ambizione, dal punto di vista della comprensione psico-fisica, ergo provare a percepirne il senso col corpo e nel corpo. 

Penso di poter affermare che lo yin e lo yang siano senza dubbio una geniale, ma direi di più, illuminata e allo stesso tempo semplicissima rappresentazione della realtà, che si fonda sul concetto di polarità complementari, ovvero di opposti ma non contrapposti. Cioè? Cioè vuol dire che ogni fenomeno in Natura risponde al ciclo di nascita/morte, a partire dalla particella più piccola dell'Universo, detta kalapa in lingua pali (che nasce e muore praticamente nell'istante); per cui se la particella più piccola dell'Universo risponde a questo ciclo di comparsa-scomparsa vuol dire che anche tutto l'Universo e ciò che lo costituisce, seppur con tempi infinitamente diversi, risponde alla stessa legge. Possiamo parlare anche di fiorire e sfiorire, di espansione e contrazione, ma sostanzialmente stiamo dicendo la stessa cosa. Quindi in estrema sintesi nell'Universo l'assoluto non esiste, intendendo per assoluto qualcosa che sia immutabile, permanente ed eterno... e questo i nostri scienziati ce l'avevano già detto: ove c'è materia c'è relatività. Nel post precedente abbiamo parlato un po' più genericamente di giorno e notte e che in pratica la vita è un esercizio di pazienza, vi ricordate? 

Bene lo Yin e lo Yang hanno il pregio di esprimere in maniera convincente e lucida questa impermanenza, ed è anzi ancor più corretto parlare di oscillazione Yin-Yang, perchè in realtà scopriamo che ogni fenomeno ha in sé entrambe le polarità, e che si sbilancia spontaneamente e senza sosta tra una polarità e l'altra, così come il giorno si sbilancia verso la notte, il caldo verso il freddo e viceversa.   


Mettendo insieme queste poche informazioni date sulla relatività dell'Universo  e sulla polarità, possiamo affermare con una certa serenità che nulla esiste in sé e per sé in assoluto, bensì solo in relazione a qualcos'altro,  col quale possa essere messo a confronto. Facciamo un esempio molto semplice: parlare di freddo non ha alcun senso se non lo si possa mettere in relazione a qualcosa che sia caldo, perché senza aver l’esperienza del caldo non esiste la possibilità di farsi una qualche idea di cosa possa definirsi freddo, o più freddo o più caldo. Ogni cosa è comprensibile solo in funzione di un suo opposto complementare: così l’alto col basso, il grande col piccolo, il profondo col superficiale, il maschile con il femminile, ecc… Nessuna di queste qualità è separabile dal suo complementare, mi soffermo cosicché la possiate mettere meglio a disposizione  della vostra curiosità e magari la ripeto anche, "nessuna di queste qualità è separabile dal suo complementare", perchè questa affermazione, apparentemente ovvia, può diventare la pietra angolare di una nuova prospettiva nel vedere le cose.  

Spesso noi diamo per scontate le nostre idee e le nostre interpretazioni, ma gioverebbe ricordarsi ogni tanto che sono appunto delle semplici "interpretazioni" della realtà, e che se, per restare nell'esempio, un qualsiasi fenomeno noi lo consideriamo freddo, è molto probabile che ci sarà qualcun altro che quello stesso fenomeno lo considererà caldo (vedi il classico eschimese); e questo ovviamente non vale solo per il clima e le stagioni, ma per tutto. Se questo è vero, e pare che lo sia, vuol dire che tutto quello che ci circonda (regole, leggi, morali, forme, emozioni, sentimenti, materia), è frutto di una interpretazione, quindi condizionato, condizionante e condizionabile. Ma ne parleremo più avanti, chiariamoci prima altri concetti base.

Nello specifico cosa vogliono dire Yin e Yang?

Gli ideogrammi che descrivono questi concetti, contengono entrambi la raffigurazione di una collina,  però mentre  quello che descrive lo yin associa a questa collina una nuvola, quello che descrive lo yang vi associa il Sole, per cui lo Yin viene raffigurato dal pendio in ombra di una collina, mentre lo Yang viene  raffigurato dal lato soleggiato della collina. Quindi per analogia il lato in ombra di un pendio è associato a qualità come il freddo, il riposo, la ricettività, la passività, l’oscurità, l’interno, il basso, eccetera; mentre il lato soleggiato di un pendio, è associato invece a qualità come il calore, lo stimolo, il movimento, l’attività, l’eccitazione, la luce, l’esterno, l’alto eccetera.

Prendo in prestito una raffigurazione trovata su un sito che tratta queste materie (nuke.tuiillago.it), che può aiutarvi a capire:

Generazione Ideogramma YIN                       Generazione Ideogramma YANG

Quindi la collina è la stessa, ma cambia a seconda del momento in cui la si osserva, a seconda del punto di vista, e ovviamente rispetto a qualcosa con cui venga messa in relazione. E questo vale anche per gli esseri umani: una persona la si può generalmente definire più yin o più yang rispetto ad un'altra persona; ma anche rispetto a se stessa un anno fa. E questo è importante sottolinearlo, perchè l'asse temporale gioca un ruolo determinante, portandoci a concludere che in un preciso momento due fenomeni messi a confronto avranno caratteristiche opposte e complementari, e che lo stesso fenomeno confrontato con se stesso, nel corso del tempo, avrà una manifestazione instabile, frutto della continua oscillazione tra lo yin e lo yang, perchè oscillare è nella natura delle cose, anche se apparentemente si ha l'illusione che l'identità si mantenga inalterata.

Proviamo adesso a portare l'attenzione su un altro simbolo, ben più noto al grande pubblico: il Tao.

Se osserviamo bene questo simbolo si nota come questa polarità sia abilmente espressa graficamente, là dove il bianco rappresenta la parte yang mentre il nero quella yin. Ma se avessimo dovuto rappresentare solo due polarità avremmo potuto accontentarci di un semicerchio nero e un semicerchio bianco. Questo disegno invece ci dice molto di più. Innanzi tutto ci dà la sensazione di come questa rappresentazione sia fluida e non statica: una parte abbraccia l’altra e viceversa, in un atteggiamento che appare sempre più chiaramente dinamico. Le linee curve indicano inoltre che ogni aspetto vive una graduale e progressiva espansione, la quale, nel rispetto dell’esistenza dell’altra polarità, ad un certo punto non potrà che invertire la tendenza; se ciò non accadesse, significherebbe che quel fenomeno avrebbe assunto connotati definitivamente yin o yang, e poiché ormai ci è chiaro che nell'universo ciò non è possibile, la conclusione sarebbe: la cessazione del sistema, la sua fine. Se proviamo quindi ad osservare il Tao ciclicamente e in senso orario, avremo proprio l’impressione che il bianco e il nero (lo yang e lo yin) si espandano e si contraggono vicendevolmente in un divenire continuo.

Ma al disegno del Tao sono stati aggiunti altri due elementi: uno occhio nero nel pesce bianco, ed un occhio bianco nel pesce nero. Queste due palle cosa ci dicono? Ci dicono che un fenomeno, anche quando sta vivendo il massimo dell’espansione di una polarità, contiene in sé, per quanto piccola, la radice della polarità opposta, che prima o poi comincerà a crescere ed espandersi. Anzi, saranno proprio queste radici che daranno impulso al continuo movimento, perché la loro natura è proprio questa: portare movimento al sistema.

Ora so già che in un angolo della mente di qualcuno di voi starà già prendendo forma l'idea che, se nell'universo non è possibile avere un fenomeno che sia esclusivamente yin o esclusivamente yang, allora una buona soluzione potrebbe essere quella di trovare un equilibrio tra i due e quindi stabilizzarlo, ovvero renderlo strutturale. Questo avrebbe il grande pregio di evitare cambiamenti e procedere con un'esistenza eternamente bilanciata. Mi dispiace deludervi, ma ciò non è possibile, e certo non perchè lo dico io! La storia del nostro mondo, ma anche della nostra vita personale, è costellata di innumerevoli tentativi di manipolare e stabilizzare l'esistenza (sul piano economico, sul piano sociale, sul piano politico, sul piano sanitario, sul piano personale, ecc...), impedendone la spontanea l'oscillazione tra lo yin e lo yang, ma appare altrettanto evidente come ogni volta  qualsiasi tentativo si sia mostrato di fatto fallimentare. Non spetta a noi dare giudizi, perchè ognuno di noi potrà offrire, appunto, solo delle interpretazioni, più o meno lucide, più o meno aderenti alla realtà, ma pur sempre interpretazioni... se vogliamo avere un giudizio oggettivo dobbiamo rivolgerci alla storia e ai fatti. Possiamo trovare tutte le giustificazioni che vogliamo, riempirci le pagine dei giornali o dei nostri diari personali, ma quando accade un fatto contrario alle nostre aspettative, vuol dire che abbiamo remato in quella direzione, anche se inconsapevolmente... il giudizio della storia è un parametro oggettivo cui dovremmo sempre guardare con onestà intellettuale.

In termini yin e yang, la storia del mondo, come quella di ognuno di noi, ci dà la misura di quante volte (infinite) si sia cercato di impedire il cambiamento per paura delle conseguenze incontrollabili, e di quanti tentativi manipolatori siano stati messi in atto, illudendoci di orientare o mantenere "i fatti" secondo i nostri desideri, e anche se in un primo momento tutto sembra darci ragione, all'improvviso qualcosa si rompe, quell'equilibrio precario, diventato cronico, mette in crisi l'intero sistema, che comincia a scompensare, portandosi progressivamente verso un naturale e necessario rovesciamento ed è in questi casi che si perde il controllo su ciò che si pensava di controllare, ed è soprattutto in questi casi che si manifesta l'imprevedibile e quindi il fastidioso imprevisto: qualche coscienza si risveglia, qualcuno ci tradisce, o siamo noi a tradire i nostri stessi progetti, il farmaco non basta più, insomma l'oscillazione continua ad andare avanti, e cercare di impedirlo comporta solo dispersioni di energia, talvolta costosissime.

Proviamo a questo punto a riepilogare i principi che regolano l'oscillazione yin e yang, che si possono sintetizzare in cinque, giusto per avere uno schema che tanto aiuta la nostra mente aristotelica ad impossessarsi dei concetti:
1)- Ogni cosa ha due aspetti: un aspetto yin e un aspetto yang.
Nell'Universo cioè non esiste nulla che non contenga in sé entrambi gli aspetti, e soprattutto nulla può essere concepito se non in rapporto al suo opposto.
2)- Ogni aspetto yin o yang può essere ulteriormente suddiviso in yin e yang.
Questo vuol dire che all’interno di ogni categoria possiamo distinguere un’ulteriore categoria yin e yang. Per esempio il freddo può essere considerato yin rispetto al caldo, ma lo stesso freddo può essere a sua volta suddiviso in freddo gelido, yin, e in freddo più moderato, relativamente yang.
3)- Lo yin e lo yang si creano a vicenda.
Ovvero non sono separabili: si può parlare di un aspetto solo in funzione dell’altro aspetto, e quindi parlando di un aspetto automaticamente parliamo anche dell’altro, ne affermiamo l’esistenza, ovvero lo creiamo.
4)- Lo yin e lo yang si controllano reciprocamente.
Si bilanciano reciprocamente, nel senso che se lo yin per esempio è in eccesso lo yang sarà necessariamente carente, e viceversa. Non esiste un fenomeno che abbia solo un aspetto, a meno che non si assista alla cessazione del sistema. Se per esempio una persona dimostra atteggiamenti molto yang, da qualche parte avrà anche la sua parte yin che lo bilancerà.
5)- Lo yin e lo yang si trasformano l’uno nell’altro.
In pratica questo principio afferma il dinamismo prima accennato, ovvero la necessaria oscillazione ciclica tra lo yin e lo yang: nulla è fermo, tutto si evolve, e questa evoluzione passa inesorabilmente da una categoria all’altra in modo progressivo, più o meno lentamente, più o meno velocemente. Se l’andamento sarà armonico tutto si evolverà in maniera naturale e spontanea, altrimenti ogni tentativo di alterazione del ciclo produrrà trasformazioni improvvise e traumatiche.

Giochiamo un po' con la cosmogonia, ovviamente senza sapere minimamente di cosa stiamo parlando! Un altro modo utile per raffigurare questo processo, e quindi per afferrarne il senso, può anche essere quello di una spirale, che avvitandosi, penetra all'infinito nello spazio-tempo.

                                                                            Yang
                                                                             Yin

Come si può vedere l'andamento ciclico appare in maniera evidente, e descrive il movimento del fenomeno  dalla non esistenza verso l'esistenza, momento questo che potrà definirsi anche come uno Yang Radicale, ovvero la radice di tutte le manifestazioni, dalla quale si genererà un'oscillazione costante dove lo yin e lo yang si alterneranno uno in relazione all’altro; possiamo citare in merito la famosa frase di Lao Tse (nel Tao Te Ching) “Uno ha prodotto due, due ha prodotto tre, tre ha prodotto i diecimila esseri”, là dove i diecimila esseri rappresentano tutte le infinte possibilità di relazioni che si creano nell’Universo o nel fenomeno che stiamo osservando.

Sviluppando la riflessione possiamo arrivare ad individuare, tra un aspetto e l'altro, anche dei momenti intermedi: dallo yin allo yang e dallo yang allo yin. Questi passaggi intermedi (che riprenderemo più avanti per coglierne al meglio tutto il potenziale), rappresentano il punto di svolta, ovvero il momento in cui un fenomeno sta abbandonando la condizione precedente per passare, o meglio per evolversi in quella successiva. Prendendo l’esempio delle stagioni, se associamo l'inverno allo yin (momento dell'anno in cui la vita si ferma, il clima volge al freddo, le giornate sono meno luminose, gli animali vanno in letargo e la vita pulsa sotto la neve) e l'estate allo yang (quando cioè la vita si esprime nella sua massima vitalità, con giornate luminose e calde, e si raccolgono i frutti), il passaggio intermedio dallo yin allo yang non può che essere la primavera, momento in cui la vita riceve la spinta verso il risveglio, la rinascita, e l’attitudine yang comincerà la sua espansione verso il suo picco massimo nel mezzo della stagione estiva, e così all'opposto l'autunno, nel ritorno verso l’inverno e cioè verso lo yin.
    
In questa oscillazione bene si inserisce la percezione del respiro, con la sua costante ciclicità fra espansione e contrazione, al punto che possiamo spingerci fino ad affermare che tutto l'universo respira, cioè si espande e si contrae, seppur in tempi incalcolabili.

Parlando sempre di equilibrio yin yang, quando si verifica puntualmente uno squilibrio (e possiamo serenamente affermare che l'evoluzione non può non passare da momenti di squilibrio e quindi di ricerca, di adattamento e perciò di cambiamento, così come il semplice camminare nasce proprio da uno sbilanciamento in avanti e dal conseguente adattamento), le soluzioni possibili sono solo tre:
a)- si ristabilisce l'equilibrio
b)- si capovolge la situazione
c)- si dissolve il sistema.

Questa breve affermazione, che riguarda ovviamente tutto quanto presente nell’Universo ma anche l’Universo stesso, può aiutarci ad entrare nella specifica esperienza corpo-mente offerta dalle arti marziali.

Ma ne parleremo in un altro post, adesso un momento di pausa!


venerdì 17 maggio 2013

Lo Yin e lo Yang... ma prima facciamo una premessa, anzi due!

Prima di procedere nel tentativo di spiegare cosa siano lo Yin e lo Yang, termini ormai entrati nell'uso comune, anche se forse non ben compresi, penso sia utile fare una premessa... Anzi penso forse sia meglio fare prima una premessa ancor più generale, ovvero i concetti che cercherò di spiegare in questo testo e nei prossimi, hanno riempito le pagine di un numero incalcolabile di libri, per mano di autorevolissimi autori, dai quali ho solo da imparare; cercherò quindi di parlarne nella maniera più semplice possibile, come ne parlerei in pizzeria con degli amici, quindi spero mi perdonerete il ricorso a delle semplificazioni, che vogliono avere il solo fine di rendere la materia più fruibile.

Detto questo passiamo ora alla seconda premessa! Per comprendere bene il messaggio delle intuizioni ereditate dal pensiero filosofico cinese (che a noi interessa particolarmente perchè rappresenta la radice delle nostre arti marziali),  e godere del contributo che ne può derivare, ci basti sapere che detto pensiero si fonda sostanzialmente sull'osservazione pragmatica e laica della natura e delle leggi che la governano, e conseguentemente è considerato ovvio che anche l’essere umano risponda alle stesse leggi, non solo nella sua relazione con l'ambiente, bensì anche nelle sue relazioni con gli altri individui e soprattutto con se stesso (e quando dico "se stesso" mi riferisco alla sua psiche e al suo corpo e all'interrelazione di questi).

Ora so già che il mio amico in pizzeria seduto alla mia destra, sentendo queste parole, storcerebbe il naso! Proverò a fare un esempio. Se noi osserviamo lo scorrere delle giornate, non possiamo non notare che queste seguono un ciclo di alternanza giorno/notte che sfugge al nostro controllo (a meno che non prendiamo un'aereo tutti i giorni per inseguire il giorno o la notte!); per quanto possa piacerci l'uno piuttosto che l'altra, dobbiamo rassegnarci al fatto che se vogliamo la notte dobbiamo aspettare, e lo stesso vale se desideriamo la luce del giorno. Abbiamo anche notato che ci sono dei passaggi intermedi, chiamati alba e tramonto, sui quali generazioni di poeti, pittori e narratori hanno costruito la propria fortuna artistica.

Chissà quante volte qualcuno dei nostri poetici amici, vedendoci in un periodo più buio del solito, ci avrà detto, magari anche con scarsa convinzione: "Non ti preoccupare, lo sai che il momento più buio della notte è proprio  nei cinque minuti prima dell'alba!"... Non so a voi, ma a me l'hanno detto. Ecco, quella frase può essere considerata proprio una semplificazione del pensiero filosofico cinese, secondo il quale se la natura ci insegna, con la semplice osservazione, un certo trend fenomenologico (chiamiamolo così), abbiamo fondati motivi per pensare che quel trend si realizzerà sempre, non solo quindi nel contesto in cui lo osserviamo ma per analogia in tutto l'universo, e tutto l'universo vuol dire proprio "tutto l'universo"! Di conseguenza, così come ho imparato ad aspettare l'arrivo dell'alba, dovrò imparare ad aspettare l'arrivo di un po' di luce nella mia vita nei momenti di buio, perchè l'universo mi dice questo, anzi nello specifico mi dice che quando è proprio più freddo e più buio, l'alba è lì per arrivare. Ma poiché noi siamo dei tipi capricciosi, che vogliono, talvolta pretendono, che le cose vadano sempre secondo i propri disegni e secondo i propri tempi, ci resta difficile pazientare, e mettiamo in moto tutta una serie di tentativi per manipolare la realtà, che non fanno altro che creare ulteriore sofferenza e paradossalmente allontanare "l'alba", per cui poi quando rincontriamo quell'amico che ci aveva detto quella bellissima frase carica di speranza, gli saltiamo al collo urlandogli "Vorrei vedere te nelle mie condizioni!!". Tutto questo finisce poi per convincerci che la natura segue una strada e noi invece ne seguiamo un'altra, riempendoci così di rabbia e frustrazione.

La bella notizia è che probabilmente è così che deve andare, perchè tutte le nostre resistenze interne sono, il più delle volte, inconsce. Ma, e questa è la seconda bella notizia, forse possiamo prenderne coscienza, lentamente e a piccole dosi, e così imparare ad accogliere le leggi che governano l'universo anche nella nostra vita, affidarcisi, farsi portare dal buio della notte e godersi la luce del giorno perchè tanto passa, concentrarsi quindi sul presente, cogliere i dettagli che sfuggono quando non osserviamo ciò che è, rilassarsi, riconoscere sempre meglio le nostre resistenze con onestà, insomma possiamo provare a vibrare, sempre più e sempre meglio, insieme alla frequenza energetica universale e non in contro tempo come una chitarra scordata.

Sul piano intellettuale forse vi ho convinto, ma sul piano pratico l'asino cascherà sempre. E se approfittiamo del fatto che sul piano intellettuale la cosa comincia a diventare più accettabile, allora la domanda successiva potrebbe essere: ma se noi siamo parte dell'universo, e se rispondiamo alle stesse leggi che lo governano, perchè non dovrebbe essere così anche per la nostra parte fisica, oltre che emotiva? Perchè non potrebbe essere che anche la nostra stessa fisiologia risponda a queste leggi, e quindi il nostro apparato cardiocircolatorio, il nostro apparato digerente, quello osteoarticolare, e così via dicendo? E in che rapporto ci poniamo col nostro corpo quando emerge un dolore e una sofferenza? Siamo pazienti o resistiamo? Vogliamo uscire immediatamente fuori da quel "buio" o riusciamo a viverlo con un atteggiamento più responsabile? Il che non vuol dire stare lì senza far nulla, ma associare al fare un atteggiamento più consapevole.

Sono argomenti scottanti, perchè quando ci mettiamo di mezzo la salute, e quindi in estrema ratio, la vita e la morte, tutto traballa e si fa scivoloso, perchè la paura verso la morte e quindi verso la malattia e prima ancora verso la sofferenza, ci rende ricattabili e consumatori ossessivo compulsivi di elisir di lunga vita, pozioni magiche e pillole. Ma è anche il nostro bello, è ciò che ci distingue dagli animali: abbiamo la Ragione, cioè il dono raro di entrare in una relazione consapevole con l'universo e con il fluire della vita, il fatto che usiamo questo dono cercando di manipolare continuamente questo naturale e spontaneo fluire, è solo un fatto culturale, probabilmente anche necessario, perchè ad un certo punto ci renderemo conto dell'uso distorto del dono, e cominceremo ad usarlo non più per andare contro la vita ma per andarci insieme, come diceva qualcuno. Ognuno di noi ha i suoi tempi.

A questo punto non so se il mio amico in pizzeria continuerebbe a seguire il ragionamento, e se quindi, fatta questa doverosa premessa, riuscirebbe poi a comprendere il concetto che mi premeva spiegare, quello sullo Yin e lo Yang... non lo so, però ci provo.

venerdì 10 maggio 2013

Perchè Karate e Salute?


Il lavoro che sto facendo nello studio del karate ha l'obiettivo di considerare il valore terapeutico di un'arte marziale. L'utilizzo della parola "terapeutico" è nel suo significato letterale del termine, che deriva da tèraps: assistente, servitore, compagno, e therapèia: servizio, cura. Ne consegue che terapeutica è quell'attività volta a sostenere un individuo nel suo tentativo spontaneo di portare un equilibrio nuovo e migliore nella propria vita. Occorre però dare a questo valore il suo giusto peso, onde evitare di cadere in interpretazioni pretenziose e poco realistiche, e senza aver mai la pretesa di sostituirsi o paragonarsi alle terapie mediche tradizionali, alle quali un'arte marziale, come il karate, può offrire semmai un naturale contributo; questo anche grazie all'apporto derivante dalle mie competenze nello Shiatsu, nella filosofia medica cinese e dall'esperienza maturata in tanti anni di assistenza motoria ai bambini diversamente abili.

Il punto di partenza del lavoro di recupero e riscoperta oggetto della mia ricerca, è proprio nei termini arte e marziale: 
-  Arte: il termine arte evoca qualcosa di creativo e di costruttivo, cioè la “materia” viene trasformata sotto la spinta di “un’idea creativa” là dove oggetto e soggetto si incontrano per generare qualcosa di unico e irripetibile… l’arte può prevedere anche la disgregazione di qualcosa, me pur sempre finalizzata alla spontanea, e sottolineo spontanea, rinascita in una nuova e più armoniosa identità;
      
    -  Marziale: Marte era il dio della guerra, quindi marziale ha a che fare con tutto ciò che genera conflitti, interni ed esterni: ogni persona vive in un continuo stato di conflitto interiore, derivante dalla contrapposizione di bisogni e desideri  e il tentativo di realizzare gli stessi, e questo conflitto interiore non può non avere riflesso sulle relazioni esterne.

Un’arte marziale quindi, se vissuta con una certa profondità e attenzione, può rappresentare un tentativo per offrire all'individuo che vive in questo continuo “stato di belligeranza”, un canale di presa di coscienza dello stesso. Prendere consapevolezza di uno squilibrio è il primo vero passo verso una  ri-armonizzazione.

Noi possiamo definirci anche come un aggregato di elementi psichici e fisici, che si è adattato e strutturato nel tempo attorno al tentativo di soddisfare un bisogno, tentativo il più delle volte frustrato e il più delle volte messo in atto con comportamenti  condizionati dalle abitudini, dalla morale circostante e dalla paura. Perciò quando un praticante entra in una palestra di arti marziali, che i giapponesi chiamano dojo (letteralmente luogo dove si segue la via, che ha antiche origini filosofiche, religiose e spirituali),  porta in quel luogo tutto questo, che inevitabilmente entra in contatto/collisione con il mondo psico-fisico degli altri praticanti.

Il karate è approdato in Italia, in particolare proprio a Firenze dove lavoro, nel 1954; ovviamente ciò che ha fatto immediatamente presa sull'immaginario collettivo, e che ne ha consentito un’incredibile diffusione, è stato principalmente l’aspetto “esterno” dell’arte stessa, ovvero, e solo per sintetizzare e non certo per sminuire, la parte legata all'innovativo modo di combattere con un avversario, reale o immaginario. Queste tecniche sono progressivamente diventate oggetto di studi e ricerche per tutti questi sessant'anni,  che hanno portato la pratica del karate ad un affinamento del gesto di altissimo livello, grazie anche all'integrazione delle conoscenze già presenti nella nostra cultura (come la biomeccanica, la fisiologia, la medicina dello sport, ecc...) con la tradizione giapponese, e ancor più in profondità, quella cinese.

Ma ciò che però è rimasto in ombra per tutto questo mezzo secolo di pratica è stato appunto l’aspetto “filosofico” dell’arte marziale, e poiché per gli orientali la cura della salute è considerata una filosofia (si parla infatti di pensiero medico-filosofico), possiamo dire che anche l'impatto di un'arte marziale sulla salute del praticante è stato, se non proprio trascurato, poco approfondito (escludendo però i bellissimi lavori sul Qi Gong). Ovviamente le mie affermazioni si riferiscono all'aspetto maggiormente divulgato del karate, grazie al lavoro delle associazioni e dalle federazioni (alle quali va il grandissimo merito di averlo promosso e affermato in termini forse neanche immaginabili negli anni cinquanta), e non escludono certo il fatto che diversi maestri hanno già cominciato a portare, con il proprio lavoro e la propria ricerca, una luce nuova su questa bellissima arte. 

Per intuire i risvolti benefici di questa arte sulla salute, basta mettere in relazione i due o tre aspetti velocemente tracciati fin qui:
1)- condizione naturale di frustrazione dell’individuo in relazione ai propri bisogni e ai propri tentativi di soddisfarli (conflitto interiore);
2)- condizione naturale della pratica del karate, che prevede lo studio dell’incontro/scontro, seppur su un piano protetto, fra due individui (conflitto esteriore);
3)- presa di coscienza delle proprie paure, delle proprie difficoltà, delle proprie frustrazioni, che non possono non essere una proiezione esterna di ciò che accade "all'interno".

Ma se la consapevolezza, come anzi detto, rappresenta il primo passo verso l’equilibrio, ciò che richiede ora un maggior approfondimento è come riuscire a trasformare lo squilibrio percepito in un nuovo equilibrio stabile. Questa è la “domanda  nuova “ che dobbiamo porre al karate adesso, e quindi porre a noi stessi come praticanti ma soprattutto come insegnanti.

Perchè un blog?

Da tempo sento il desiderio di raccogliere tutte le esperienze, i lavori fatti, le intuizioni che hanno trovato una risposta e le intuizioni rimaste in sospeso, le riflessioni, i collegamenti con fenomeni analoghi, insomma tutto quello che l'insegnamento del karate ha fatto emergere in tutti questi anni, giorno dopo giorno, e che ancora oggi continua a sgorgare fuori come la sorgente di un fiume.

Avevo pensato al classico libro (e in futuro chissà...), però il libro ha la caratteristica di essere un monologo e, per quello che avevo in testa io, questo rappresentava un limite. Alla fine mi sono deciso ad aprire un blog.

E' la mia prima esperienza, quindi dovrò imparare strada facendo (e questa è già un'implicita richiesta di perdono per le ingenuità e gli errori che lettori più esperti di me troveranno lungo il cammino), ma già sento che potrebbe essere una buona scelta.

Mi piacerebbe che questo blog diventasse un contenitore di idee, un luogo dove ognuno possa condividere esperienze personali sull'argomento, avanzare dubbi e critiche che possano "stressare" le considerazioni fatte, così da testarne la solidità, offrire contributi, proporre soluzioni, insomma il classico blog.

Pertanto chiedo a tutti (do già per scontato quindi che i lettori saranno più di uno!) di sentirsi liberi di commentare i vari argomenti trattati, fare apprezzamenti o contestazioni, io cercherò di rispondere e interagire con ognuno di voi, direttamente o con risposte comuni (sempre che siate più di uno!). Ogni post vorrei considerarlo un po' come il capitolo di un libro, dove il lettore però possa fare ad alta voce tutte le domande che vuole allo scrittore, e non solo pensarle, come siamo tutti abituati a fare.

Per il resto andiamo avanti, se mi viene in mente altro ve lo scrivo...

Buona lettura
Andrea Mascaro

Maestro di Karate, 6° Dan
Operatore e Insegnante di Shiatsu
Insegna a Firenze c/o la Palestra Izumo
Via Moreni, 14 - 50135 Firenze
Telefono 055 609981
andreamascaro66@gmail.com
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